Autotune o Autotruffa?

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L’utilizzo dell’Auto-Tune rappresenta una questione ben più complessa di una mera scelta timbrica o stilistica. Dobbiamo distinguere tra l’impiego creativo e consapevole di questo strumento – come nel caso pionieristico di Cher con “Believe” (1998), che lo ha elevato a elemento espressivo – e il suo uso sistematico come “correzione” delle carenze tecniche, che è diventato ormai prassi diffusa.

Quest’ultimo fenomeno non è innocuo: rappresenta una forma di appropriazione degli spazi espressivi tradizionalmente riservati agli artisti dotati di autentico talento vocale.

La standardizzazione timbrica che ne consegue non è solo un impoverimento estetico, ma ha implicazioni culturali profonde: quando le voci “artificialmente perfette” saturano il panorama musicale, gli artisti che basano la loro espressività sulla naturalezza e imperfezione della voce umana vengono marginalizzati.

La conseguenza più grave è l’indebolimento della funzione sociale dell’arte: se gli artisti autentici vengono privati della loro piattaforma espressiva, si perde quella capacità unica della musica di stimolare il pensiero critico, di smuovere le coscienze, di articolare il dissenso.

Si crea invece un’omogeneizzazione che ha una funzione “sedativa”, che anestetizza.

Non è casuale: il potere, nelle sue varie forme, ha sempre privilegiato e promosso una mediocrità standardizzata rispetto all’eccellenza distintiva.

Un pubblico assuefatto a una musica tecnicamente “corretta” ma emotivamente sterile è più facilmente controllabile di uno esposto alla complessità e alla provocazione dell’arte autentica.

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